7° parte - "Percorso di educazione emotiva per bambini e genitori …
che credono ancora nella magia delle emozioni".
Ai
giorni nostri non si può essere tristi! Nella nostra società non si è tristi,
si è depressi!
Provate
a pensare: quante persone quando sono giù di corda usano la parola tristezza?
Quanti si descrivono come depressi? Eppure tra essere tristi ed essere depressi
c’è una grande differenza, e noi psicologi lo sappiamo bene.
Ecco,
allora riappropriamoci anche delle emozioni meno intense: abbiamo diritto di
essere felici? Allo stesso modo, a mio parere, abbiamo diritto e bisogno, in
determinate situazioni, di essere tristi e vivere quell’emozione fino in fondo,
senza “buttarla sul ridere” perché bisogna cancellarla, o trovare il lato
comico per forza per dimenticare quel momento. Alcuni grandi cambiamenti nelle
persone si hanno proprio quando le cose non vanno bene, quando si sta male per
qualcosa, quando si è stati tanto tristi … è lì che scatta un particolare
“click”, che si gettano le basi per un cambiamento importante.
Che
motivo ci sarebbe di cambiare se tutto va bene? O anche solo parzialmente bene?
Nessun motivo perché quel “bene” è sufficiente per andare avanti lasciando
tutto immutato.
Quale tristezza?: - La tristezza, appartiene alle
emozioni, cosiddette, di base, e può declinarsi in dolore, malinconia,
infelicità, amarezza, disperazione, sgomento, solitudine e molte altre ancora.
I
motivi che possono indurre una persona o un bambino a sentirsi tristi sono i
più svariati: aver litigato con un caro amico, essere arrivati ultimi al torneo
della scuola, aver presso un brutto voto, una cattiva giornata al lavoro e via
dicendo. Esiste poi, una particolare tristezza che meriterebbe un capitolo a
sé, e che si riferisce alla perdita di una persona cara, ovvero, il lutto.
Questo secondo tipo di tristezza, è molto più intenso del primo, più duraturo e
deve passare attraverso varie fasi di elaborazione per giungere poi al distacco
finale. Il primo, è invece più facilmente gestibile e limitato nel tempo.
L’aspetto educativo della
tristezza: - Avendo
lavorato molto a contatto con bambini e adolescenti, ho potuto osservare quanto
spesso i bimbi e i giovani di oggi non siano equipaggiati per fronteggiare i
piccoli momenti di tristezza o frustrazione della vita. Questo aspetto, lo si
può vedere bene a scuola, ed è quello che spesso le maestre, descrivono come un
essere “viziati”: ovvero, l’andare in crisi davanti ad una piccola difficoltà.
Il bambino che non è in grado di mettere in campo le proprie risorse per
fronteggiare la situazione, quando si trova, per esempio, ad aver sbagliato un compito e doverlo
rifare, essere preso in giro da un compagno di classe, prendere un voto poco
positivo, ha reazioni emotive intense, quali pianto sfrenato, capricci, rabbia,
o sentirsi male (mal di pancia, mal di testa) per essere mandato a casa. L’adolescente
invece, a confronto con difficoltà proprie di una scuola superiore, accusa il
docente e attribuisce solo a lui la responsabilità del suo andamento negativo o
abbandona la scuola perché completamente scoraggiato.
Da
più parti, insegnanti che hanno alle spalle anni di docenza, riferiscono di
trovarsi di fronte giovani sempre più fragili, pronti a crollare davanti alle
difficoltà.
Educare
alla tristezza, così come educare alle altre emozioni, permette ai bambini di
crescere, di passare lentamente dall’infanzia all’età adulta, dove
inevitabilmente ci saranno momenti di difficoltà da affrontare. E’ una palestra
per poter osservare quali “attrezzi” si posseggono per superare il problema,
eventualmente costruirne di nuovi, valutare quali funzionano e quali no e
munirsi di un bel bagaglio ben fornito per ogni evenienza.
Essere
dei genitori eccessivamente protettivi, che mettono sempre il cuscino sotto le
ginocchia del proprio figlio per attutire la caduta, è l’equivalente di mandare
un guerriero nudo a combattere una battaglia: come tornerà indietro se non ha
di che proteggersi?
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Buon divertimento!